venerdì 22 luglio 2011

Francese o inglese?

Francese o inglese?

Nella segreteria della Scuola si faceva la coda. Noi ragazzine che avevamo sostenuto l’esame di ammissione ed eravamo pronte per la Scuola Media, parlavamo dell’immediato nostro futuro.
Mia cugina, più esperta di me perché aveva una sorella più grande, sapeva il fatto suo.
- Ci sono due corsi, diceva, uno di inglese e l’altro di francese.
- Si, rispondeva Rosa,( anche lei con sorella che aveva già frequentato la scuola superiore), nel corso d’inglese c’è la professoressa Norrito, nel francese la professoressa Romano.
Fu così che imparai il nome delle due insegnanti che accoglievano timide undicenni per accompagnarle nei tre anni di Scuola media. Insegnanti donne, insegnanti per classi femminili.
Erano gli anni cinquanta , periodo in cui pesavano ancora i ricordi di ciò che la storia ci aveva consegnato e , in una società ancora fortemente disorganizzata, tutti sentivano il bisogno di trovare esempi da imitare. La figura dell’insegnante emergeva allora come un piccolo faro di conoscenza e saggezza perché aveva il gravoso compito di formare le nuove generazioni.
E’ proprio vero; non si riesce a capire un’intera generazione se non si risale a chi l’ha plasmata e direttamente modificata e sono convinta che non è mai cosa inutile parlare di chi ci ha preceduto
per il semplice fatto che ritroviamo in loro le nostre radici.
Le vedemmo spuntare dalla stradina che conduceva in piazza Plebiscito. Erano due donne all’apparenza molto diverse. Forse solo la cultura e i libri sottobraccio riusciva ad accomunarle. La professoressa Romano, capelli biondi e ben curati, grossi occhiali da intellettuale, elegante ed aggraziata, mostrava il fascino sano della madre di famiglia che tende ad allargare il suo raggio di azione occupandosi anche dei figli non suoi; aveva modi garbati, era simpatica e sorridente.


L’altra, la professoressa Norrito, appariva allora tutto il contrario. Rigida, impettita, crocchia di capelli castani sul capo, seria, non lasciava trasparire emozioni o sentimenti.
Le guardavamo avanzare verso la scuola e dentro di noi sceglievamo di seguire il corso di francese.
Francese, francese, dicevamo, e sceglievamo la donna con famiglia e non la zitella che guardava diritto senza cercarci con lo sguardo. Poi però in segreteria ci convincevano che il corso d’inglese era altrettanto valido. L’inglese è la lingua del futuro, oggi si parla inglese dappertutto, non capite che siamo alle soglie di una nuova epoca?
Così anch’io feci la mia scelta: inglese.
Con il tempo imparai ad amare la signorina Norrito che si sposò anche lei. Tardi, ma si sposò.
Mi rimase però una simpatia per la signora bionda che mi sorrideva e mi rivolgeva la parola affabilmente solo perché era l’insegnante di mia cugina.
Ricordo di aver anche pensato che mi sarebbe piaciuto essere come lei da grande. Uno dei tanti esempi da imitare.

Maria Grazia Vitale

sabato 16 luglio 2011

L'avventura di Carlo il coloniale

Quando Carlo presentò la domanda per arruolarsi come volontario in Africa orientale, molti suoi concittadini erano già partiti per cercare fortuna nel vicino continente dove si trovavano le colonie.
L'Italia, come tanti altri paesi europei, aveva cominciato ad espandere la propria influenza politica e commerciale nel Mar Rosso, divenuto importantissimo per i traffici con l’Oriente. L’avventura coloniale italiana, iniziata con l'acquisto, da parte della società Italiana di navigazione Rubattino, di una base commerciale nella baia di Assab , aveva proseguito con una serie di accordi commerciali, protettorati, occupazioni militari e guerre atte ad allargare il territorio. La prima colonia nel Corno d’Africa era stata l’Eritrea; in seguito, l’Italia riuscì ad avere la Somalia nel 1926 e
quindi una terza e più estesa colonia:l’Etiopia.
Nel 1938 queste colonie costituirono l’ A.O.I. AFRICA ORIENTALE ITALIANA
Un servizio aeropostale attivato nel 1935 collegava tutto il Corno d'Africa coloniale italiano con la Madre Patria permettendo lo scambio di notizie tra i nostri emigranti in Africa e le famiglie rimaste in patria. Le lettere sopravvissute al lungo trascorrere del tempo ci restituiscono nitidamente gli aspetti soggettivi e autobiografici del nostro passato coloniale, di quell'inseguimento «al posto al sole» che si protrasse ininterrottamente fino alla metà del Novecento. Centinaia di migliaia furono i nostri concittadini che in Eritrea, Libia, Somalia, Etiopia, furono coinvolti nel «sogno africano». Andare in Africa significava individuare la via più breve e più sicura per realizzare i sogni della famiglia e magari trovare un impiego al termine della campagna della conquista coloniale. Andare in Africa rafforzava anche l'orgoglio di sentirsi allo stesso tempo italiani e conquistatori, perché si partiva per andare a civilizzare popoli incivili e insegnare i fondamenti della igiene e della vita sociale. Purtroppo però, al ritorno dalla loro avventura africana, i coloniali si trovarono in mezzo alla guerra e quello fu un capitolo diverso della nostra storia.