mercoledì 10 febbraio 2010

Vado a trovare Jamila, una donna tunisina quarantottenne che conosco ormai da venti anni. Avverto nell’aria della sua casa profumi di cibo a cui non sono abituata, ascolto la voce di uno speaker arabo che legge le notizie del telegiornale tunisino e mi sento catapultata di botto in un posto non mio, un posto che non mi appartiene. Tappeti di ogni dimensione sono sparsi a terra fino a ricoprire l’intero pavimento, tende ed arazzi sulle pareti e pochi essenziali mobili nel salotto di casa. Jamila, la padrona di casa, indossa la veste tipica della sua terra lunga fino ai piedi ed in testa porta il solito fazzolettone che le ricopre i capelli. Anche la figlia più grande, Meriam, indossa una veste simile a quella della madre; lei però porta i jeans sotto il vestito .

Ricordiamo insieme, ridendo, i tempi lontani in cui ci siamo conosciute. Volevo insegnarle l’italiano. La nostra lingua era, però, per Jamila una cosa incomprensibile, era arabo, potrei dire con una battuta. Non riusciva a pronunziare nessuna parola, si mostrava completamente restia all’apprendimento, anche di cose molto semplici, e rideva divertita ad ogni mio qualsiasi serio tentativo d’istruzione.

Le sue difficoltà non erano però solo per l’uso dell’italiano. Jamila sconosceva gli elettrodomestici, non aveva mai visto un aspirapolvere o il “mocio” per lavare i pavimenti. Era venuta in Italia, giovane sposa,per stare insieme al marito e, ospiti presso una famiglia amica, dormiva su un materasso posto a terra. Jamila era allora incinta e disposta ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di stare con il marito. Dopo la nascita della sua prima figlia, che fece nascere in Tunisia e là la lasciò per quasi tredici anni, si diede da fare per contribuire all’esiguo bilancio familiare, (il marito, Salah, faceva saltuari lavori in campagna) inserendosi nel quadro delle possibilità di lavoro offerte dal nostro contesto.

Imparò a fare i lavori domestici ed a frequentare le case di alcune signore della città. <<>>. La sua casa, con il tempo, è divenuta molto più confortevole e, anche se modesta, si è arricchita di elettrodomestici .Un grosso freezer troneggia in cucina come simbolo del raggiunto benessere. Nel freezer Jamila conserva il pesce che il marito porta a casa dopo i tre o quattro mesi che trascorre sul mare a bordo dei pescherecci. La fatica è tanta, lo stipendio irrisorio. Quando la pesca va bene, sono settecento cinquanta euro al mese.

Cancellato il progetto di ritorno definitivo alla terra di origine, Jamila e Salah hanno riportato in Italia le due figlie maggiori che avevano fatto crescere in Tunisia,( la terza è sempre rimasta in Italia ed ha studiato in scuole italiane) e si sono insediati stabilmente a Mazara.

La comunità musulmana a Mazara del Vallo

Premetto che non sono una oratrice e che la mia relazione è frutto di esperienze personali e colloqui avuti con operatori del sociale della mia città. Mi chiamo Maria Grazia Vitale ; sono nata e ho sempre vissuto a Mazara del Vallo dove ho svolto la professione di insegnante della Scuola Media e delle Superiori.

Mazara del Vallo, città situata al limite estremo della Sicilia, è stata definita dalla stampa la città più araba dell’Europa, sia per l’alta percentuale del gruppo arabo immigrato che per il fatto di essere una delle più antiche aree di immigrazione nel nostro territorio. E’ una specie di specchio anticipatorio di dinamiche che in futuro potrebbero maturare in altre zone d’Italia. In un video di recente pubblicazione dal titolo "Musulmani in Italia" (edizioni Mille - Novat) dove si affrontano i complessi temi dell'inserimento dei Musulmani in Italia, si parla della comunità araba di Mazara del Vallo e la si mette a confronto con altre comunità del centro e settentrione d’Italia. Scrittori locali e nazionali si sono occupati del problema immigratorio nella mia città e molti giovani laureandi di Sociologia e Scienze delle comunicazioni oggi scelgono come tesi di laurea l’argomento oggetto della presente relazione.Leggere l’esperienza dei Tunisini immigrati nella mia città può dare un aiuto per capire i ritardi e le difficoltà nel divenire dell’integrazione, i limiti e le resistenze ma anche le potenzialità e le contraddittorietà di questo fenomeno che investe ormai tutta quanta la nostra nazione.

Chi sono allora gli immigrati di Mazara del Vallo , quale cultura hanno portato con sé e, soprattutto ,quale tipo di rapporto sono riusciti ad instaurare con la gente autoctona? Si è realizzata l’integrazione dopo più di 40 anni di insediamento? Alla luce delle mie esperienze e di quelle dei personaggi che ho voluto incontrare nel corso di questa mia indagine,la risposta a quest’ultima domanda è che non si è ancora realizzata una vera integrazione .

Essa, l’integrazione, non è certamente un’opera di adattamento, di assimilazione, di lento e selettivo assorbimento degli immigrati entro le strutture di relazione del nostro mondo occidentale. Non può dipendere solo dagli sforzi dello straniero per sfumare o cancellare la propria identità, i suoi tratti etnici e culturali attestanti la sua “diversità”. Dipende sicuramente da ben altro. Dipende dalla formulazione di nuove prospettive, che tengano conto della compresenza e della interazione fra culture diverse, dipende da una gestione articolata delle differenze,da una rielaborazione di eredità e patrimoni etnici,da una visione antropologica di ampio respiro ,insomma. E’ certamente un processo molto lento e di difficile attuazione. Per quanto riguarda gli extracomunitari, preferisco allora parlare di inserimento-adattamento. Un gruppo di minoranza, uscendo dall’anonimato, cerca di farsi accettare dalla maggioranza autoctona continuando a rimanere quello di prima, con le sue regole, i principi religiosi , la sua cultura .

Oggi il 90% degli immigrati a Mazara è tunisino, anche perché la città dista appena 140 chilometri via mare dalla Tunisia. Alla comunità tunisina che vanta una storia di migrazione di più lunga durata nel tempo, si sono gradualmente aggiunte, nel corso degli anni, presenze di altre etnie, tra cui spiccano quelle provenienti dalle aree dell’ex Iugoslavia (rom) e del Marocco, sia pure con proporzioni di molto ridotte rispetto a quelle dei primi venuti. I Marocchini hanno in città una presenza quasi “invisibile”, che si confonde con quella predominante dei Tunisini. Più interessante è il caso dei rom o “Slavi”, come vengono soprannominati. Il loro inserimento all’interno dei quartieri abbandonati del centro storico, la fama di mendicanti o ladri che li accompagna, l’inveterata abitudine a sfoggiare monili d’oro e macchine di grosse dimensioni fanno sì che il “peso” sociale e simbolico loro assegnato dagli Italiani e dagli stessi Tunisini sia all’ultimo posto nella gerarchia delle etnie.

I primi Musulmani che, negli anni settanta , attraverso il Canale di Sicilia, arrivarono a Mazara del Vallo facendo lo stesso tragitto dei loro antenati conquistatori, si insediarono nelle case del Centro Storico della città, proprio dove un tempo avevano vissuto i loro lontani antenati. Il loro è stato un infelice ritorno , come ebbe ad affermare un sociologo mazarese,il professore Antonino Cusumano, in un libro dal titolo “Il ritorno infelice ”; è stato un ritorno fatto di sofferenze e privazioni di ogni sorta. Primi ad arrivare sulla costa siciliana, quasi in avanscoperta, furono uomini soli ,di età compresa tra i 25 ed i 30 anni. In una seconda fase, cominciarono ad arrivare le donne e si ricomposero interi nuclei familiari. Ci fu allora in città un notevole incremento demografico .